sabato 31 marzo 2007

New Wave




Faceva caldo in quella notte di gennaio
e sfrecciavamo per le strade
con i finestrini abbassati.
Era notte, la città era deserta,
potevamo anche non badare ai
semafori rossi.

Mi passò una cassetta. “Metti
questa” disse. Guardai entrambe
neanche fossero i sospetti dell’ultimo
omicidio annunciato alla televisione.

Dalle casse gracchianti della mia auto
cominciò a fuoriuscire musica
new wave. “Non te l’aspettavi, eh?”
disse lei.
“Non me l’aspettavo” dissi io.

Chiusi nella mi auto, il mondo era
una batteria che intonava
ritmi ossessivi. Ma c’era anche altro,
è solo che non lo vedevamo, oppure
preferivamo ignorarlo,
come facevamo con i semafori rossi.



sabato 24 marzo 2007

Una strana educazione sentimentale



Appartengo a quella fascia di ragazzi che da bambini sono stati cresciuti dalla televisione. Mio padre lavorava in banca e tornava sempre tardi, mia madre invece insegnava nelle classi di tempo prolungato, impegnandosi in una lunga serie di progetti extrascolastici che non avevano mai fine. E' ovvio, a questo punto, che i miei genitori siano stati i Genitori in blue jeans, che la musica che ascoltavo fosse quella dei Bee-Hive e che a farmi compagnia il pomerigio c'erano Uan e tutti gli altri conduttori di Bim Bum Bam.
Senza fratelli o sorelle e senza una buona propensione nel crearmi degli amici, la mia educazione sentimentale, le mie prime esperienze di relazioni umane, sono state l'osservazione dei cartoni animati giapponesi: robottoni guidati da ragazzi coraggiosi che conbattevano contro orribili mostri di altri pianite, aliene sexy che svolazzavano per la scuola creando scompiglio e ragazzi impacciati, anche un po' imbranti, che non sapevano cosa fare della propria vita e che non erano molto bravi a rapportarsi all'altro sesso.
Io guardavo, imparavo, mi immedesimavo e desideravo con tutte le forze che accadesse qualcosa del genere anche a me. Avrei voluto essere un super eroe, uno di quelli che salvano il mondo e che hanno tutto il tempo per preparare un'ottima interrogazione per il giorno seguente, ma... mi bastava fare un po' di chiarezza dentro per capire che non ero proprio quel tipo di ragazzo. Io ero lo sfigato, l'impacciato, quello troppo timido anche solo per parlare. O almeno questo credevo di essere (non avevo molta esperienza nel campo delle relazioni umane).
Riconoscersi in Johnny fu quasi naturale, innamorarsi di Sabrina avvenne istintivamente, così come il fare di quel cartone lo schema delle relazioni umane che avrei avuto per i dieci anni successivi. Può sembrare ridicolo (e si, certamente molto triste) ma io ho capito che cos'era l'amore grazie ad un ragazzino con poteri paranormali e ad una ragazza con un capello di paglia rosso. Può sembrare inconcepibile, ma ancora oggi - a volte - per me l'amore altro non è che una lunga scalinata di novantanove gradini e mezzo.


domenica 18 marzo 2007

Prendendo in considerazione il relativismo culturale



Trovo noioso, per non dire ridicolo (per non aggiungere demenziale) le posizioni estreme che prendono certi presunti intellettuali che - certi di essere i detentori dei valori fondamentali dell'esistenza comune - sparano sentenze giudicando giusti o sbagliati gli stili di vita e i riferimenti culturali di chi che sia. Non parlo di critici o opinionisti di professione (il cui lavoro consiste proprio nel fare questo), ma di gente comune che spara a zero.
Badate bene, non mi sto riferendo al giudizio in se (che come Kant ci ha dimostrato è istintivo e perciò non controllabile), quanto a quel giudizio mosso dalla convinzione, tanto forte quanto stupida, che esista un modo unico e imprenscindibile di vivere, che comporta dei determinati riferimenti culturali, un ben preciso target di interessi e - perchè no? - in certi casi estremi anche una moda. Certo, questo modo di pensare appartiene a molti, ma lo trovo obbrobioso quando viene esternato da persone dotate della cultura e dell'intelligenza necessaria per capire che non esiste un modo di fare giusto e sbagliato, che non esistono interessi migliori di altri e che tutti questi punti di riferimento altro non sono che soggettivi, e derivano dall'appartenenza ad un certo gruppo, al proprio modo di essere cresciuti, al contesto in cui si è vissuti e a quel bagalio personale di sentimenti (o di sensibilità) di cui si è dotati.
Ma l'intellettualoide che si atteggia a critico molto spesso non tiene conto di ciò, osserva il suo piedistallo, contempla il proprio io (e tutti quelli che ritiene simili a lui e/o degni della sua stima) e addita come devianti chiunque non si rapporti a quel determinato stereotipo. Insomma, come all'interno di una qualsiasi dittatura, stabilisce che chi non è come lui è una persona indegna di vivere in questo mondo.

La fortuna del non appartenere a quella che è la casta dei critici non viene mai presa molto in considerazione. Tale fortuna comporta una totale libertà (anzi, una vera e propria anarchia) di quello che è il proprio gusto: ci si può appassionare all'arte, così come allo sport, emozionarsi con un fiction del canale cinque, commuoversi con Shakespears e trovare orribilmente noioso Kafka. Insomma, tutto in relazione al proprio personale sentire: un giudizio scevro dai preconcetti indotti da altri.
Ovviamente, l'emozionarsi con un libro o un qualunque prodotto artistico (intendendo per artistico tutto ciò vada da una pubblicità ad un opera architettonica) è diretta conseguenza del proprio bagaglio culturale. E' importante, però, costruirsi tale bagaglio non ascoltando o leggendo ciò che si dice o si scrive sulla cultura, ma immergendosi in tale cultura, vivendola in prima persona.
Solo a questo punto ci si può rendere conto che fondamentalmente non c'è differenza tra le persone che hanno o non hanno interessi, o che hanno interessi diversi; ognuno segue solo i propri bisogni e li colma a proprio modo.
Ciò che chiamiamo interesse, impegno e cultura non è un prodotto intellettuale o, quantomeno, non lo è in prima istanza. Il bisogno di seguire questi percorsi è prima di tutto un bisogno emotivo, istintivo e per nulla razionale che, solo in un secondo momento, viene a costensualizzarsi in un ambito razionale col quale si fonde. Di conseguenza è facile capire che ognuno fa solo ciò che sente il bisogno di fare, che corrisponde alla propria natura e al modo in cui l'ha elaborata.
Seguire ciò che l'intellettualoide proclama come "il giusto percorso" nel momento in cui non se ne sente il bisogno è andare incontro a tale natura, una natura che può essere originaria (quindi insita all'interno dell'individuo aprioristicamente) o può essere costruita (ovvero appartenente al bagaglio del vissuto dell'individuo stesso). Insomma, si trasforma in una discriminazione a tutti gli effetti, basata sul principio che chi viene additato non è come chi addita, oppure ha avuto un vissuto così diverso da non poter avere i suoi stessi valori di riferimento.
Basterebbe solo avere un po' di onesta intellettuale forse, scendere dal proprio piedistallo, per provare a vedere il mondo (quel modo su cui si hanno idee così ben precise) con gli occhi dell'altro, per la sola curiosità di capirlo. Ma questo non è da tutti: in primo luogo perchè scendere dal proprio piedistallo è un impresa ardua, in secondo luogo perchè osservare il mondo con occhi diversi è entrare in relazione con valori diversi dai propri e che necessariamente possono mettere in dubbio la realta costruita, destabilizzandola. Insomma, basterebbe solo avere un po' di onesta e di coraggio... in fondo, il rischio di cambiare idea non è troppo alto nel momento in cui la posta in gioco è la possibilità di avere delle prospettive più ampie.


venerdì 9 marzo 2007

La felicità



La felicità sono le mie scarpe nuove, quelle puma pagate a poco prezzo; una bella puntata di Dottor House ed una ancora meglio di Huff; la felicità è quando ti mettono i saldi e sei felice anche se poi alla fine non compri niente; la falicità è che poi lei pensa "Ho avuto di meglio" ma lo stesso ti abbraccia e ti sorride; la felicità è quando l'esame non lo sai ma poi te lo spostano di tre giorni e sei contento anche se sai bene che non ci rimedierai molto; la felicità è tipo quando stavo ancora a giursprudenza e faceva freddo e poi ha nevicato, così, senza ragione, a pochi metri dal porto e dal mare; la felicità è quando bevi tanto e invece di andare in down stai su e ti riesci a riprendere la serata; la felicità è quando stai a Santa Maria La Nova con Debborah che parla degli uomini che non ha, Elena di inutili provicini, Paolo di Magic, Antonio di Dungeons & Dragons, Mirta dell'estinzione del toporagno dell'Amazonia, Karman della scopalamina e di altri medicinali impronunciabili... ma ti va bene così; la felicità è quella casa che mia madre vuole comprare, perchè da giovane andava lì tutte le estati con i suoi amici; la felicità è mio padre che mi dice fammi leggere una tua poesia (ma non me lo chiede mai); la felicità è quando metto Alberto Camerini perchè c'è questo tipo strano vedrai ti piacerà lui suona la chitarra in una roch'n'roll band è come un arlecchino che non si rompe mai attacchi la corrende vedrai che partira uhoo oh oh rock'n'roll robot; la felicità è tipo quando abbiamo vinto i mondiali e, mentre tutti cantavano po poroppo po poo poo, noi cantavamo freeway freeway nel vento io e te; la felicità è quando ti svegli e ti guardi allo specchio e trovi un brufolo in meno, oppure una strana ruga in più che compone sul tuo volto un sorriso stupido; la felicità è come se un giorno arriva Dio in persona e ti chiede: "Dimmi un tuo desiderio ed io lo realizzerò" e tu rispondi: No, oggi passo, mi sta bene così; la felicità è che finisci Anna Karenina e lei non muore; la felicità è quando vai a pagare alla Conad e non trovi la solita vecchia che ti dice: "Mi fa passare, ho solo queste due cose?"; la felicità è in un mondo dove alla posta non c'è coda e se c'è nesusno sbuffa o si incazza; un posto dove i bancomat funzionano; un posto dove se sei una canaglia la paghi e se sei uno sfigato lo stesso ti sfottono, ma qualche soddisfazione comunque te la prendi; un mondo dove semmai sono i Pooh a sciogliorsi mentre i Pink Floyd restano uniti; un mondo dove quando dici ti amo vengono giù tutte le stelle del firmamento così come succede dentro la tua pancia; un mondo dove se lo riesci a dire ti amo non ti senti un fesso; un mondo in cui la felicità sta dietro l'angolo, all'incrocio tra via soddisfazione e corso dei desideri, subito dopo la salumeria di Don Totore; un mondo dove il papa è buddista, i terroristi ce l'hanno contro la dieta e gli americani hanno eletto per l'ennesima volta Franklin Delano Roosvelt, che una volta stava per chiedersi perchè fosse ancora vivo, ma poi non se l'è chiesto per paura che la morte potesse ascoltarlo; un mondo in cui Cristo ha detto a Pietro: "Mi raccomando, niente stronzate"; un mondo in cui Gandhi è invecchiato come si deve; un mondo in cui Martin Luther King non ha mia detto "Io ho un sogno" ma, in compenso, lo hanno detto tutti gli altri, ma proprio tutti.
Ecco, per me la felicità è la casa che voglio comprare e arredare con i mobili dell'Ikea, ed è il Kebab di vite vite; la felicità è costuire come si deve la mia vita e, soprattutto, capire cosa diavolo è la mia vita.