mercoledì 28 febbraio 2007

Al ponte Karlo



Praga mi colpisce come un'assenza
che prende alla pancia
e divora;
tempo fa lasciai una parte di me
tra la sabbia del deserto
ma questo non importan granché, perchè
il mio meglio (o il mio peggio)
si è dissolto così come succede
a tante cose inutili.
Il tempo è una misura così soggettiva e labile,
se ci pensi bene,
e i sentimenti pure.

domenica 25 febbraio 2007

Dario Bellezza




Per amore di solitudine rimasi solo:
solo rimasi per amore di niente; come
giovinezza passando in apertura
di giorno minacciando la belva di me
più bisogna, incanutita amante
del vuoto, io, la bestia del riso
asciutto. Sono qui, il fiato spesso
del malato che non vuole significare.


Ritrovo Dario Bellezza un po' per caso e un po' perchè è un grande amore della mia adolescenza e in questo periodo ogni pulsione di allora sta tornando a trovarmi (o forse sono io che torno a trovare loro). E' nascosto dai libri più nuovi, quelli comprati negli ultimi anni, e da quelli che spulcio più spesso. Il volume (un'antologia con le poesie dal 71 al 96) non è sgualcito come altri, ma sembra quasi nuovo, come se la pressione degli altri libri lo avesse rimesso in forma.
Lo sfoglio e ripenso a quando leggevo le sue poesie seduto sulle scale della banca di piazza del Gesù, con una birra poggiata di fianco, in attesa che gli amici arrivassero, in compagnia solo del mio nichilismo da bar dello sport.
Era il mio atteggiarsi quello: adolescente dark, che beve e legge poesia, mentre tutt'attorno il fremere dei genovesini e non s'incontava per il loro sabato sera d'aria. C'erano altri che avevano un libro di poesie con se, per lo più Bukowski e Baudelaire; le leggevano a voce alta a chi volevano rimorchiare e, qualche volta, funzionava pure. Quando mi chiedevano cosa leggessi e mostravo il libro come risposta, mi guardavano strano, cercando di capire dalla copertina (semplice, con un cuore rosso scarabocchoato sul fondo nero) e dal nome di che si trattasse; qualcuno, ogni tanto, ci dava in'occhiata. Morte, solitudine, amore, omosessualità: era questo quello che si trovava in quelle pagine, che dovevano essere lette a più riprese per essere pienamente comprese. Il più delle volte però, chi leggeva mi restituiva il libro e andava a comprare del fumo o altro, disenteressato o annoiato. Così restavo lì, ancora con gli occhi puntati su quelle pagine, sino a quando non mi rendevo conto che s'era fatta ora; così rimettevo il libro in tasca e andavo da questo o da quello, cercando di organizzare un sabato sera che (sapevamo in partenza) sarebbe stato identico a tutti gli altri.

(Mica pensavate di trovare in questo post qualche pensierino critico sul poeta?)

martedì 20 febbraio 2007

Così e così



In questo periodo il passato sta tornando nello stesso modo in cui il presente pare avermi abbandonato. Discorsi come revivol e vecchie conoscenze che tornano a farsi sentire dopo cinque anni di silenzio, prendendo il posto degli amici assenti e delle parole con cui si cerca di definire il presente, o con cui si prova a dipingere il futuro.

La mia vita ha sempre avuto la peculiarità di essere divisa in compartimenti stagni. Quello che sono stato sino a cinque anni fa è completamente diverso a ciò che sono stato dopo. Mi guardo indietro e vedo un ragazzo che per aspetto e atteggiamento è completamente diverso da me; non ci lega niente, non il modo di parlare, non gli amici, non gli ideali, solo un bagaglio culturale in progress e lo stare sulla stessa linea di spazio e di tempo.

Sono passati gli anni dell'illusione, dei sogni, degli amici immortali e delle belle speranze; sono passati gli anni della depressione, del dark, della violenza vera e di quella immaginata; sono passati gli anni della confusione, della stabilità e dell'instabilità, del casino fisico e mentale. Così mi guardo indietro e sono in grado di vedere e definire i vari me, ma non riesco a comprendere ciò che sono ora.

Ho un'abilità nel consumare le cose, nel succhiare tutto ciò che mi circonda sino ad esaurirlo, per poi guardare appresso, cercare nuove vittime, aggrapparmi al loro collo e ricominciare a succhiare. Prendo tutto ciò che è possibile prendere e poi vado altrove, cambiando pelle come un serpente.
Non mi accontento mai, non l'ho mai fatto. Ne voglio sempre di più.
E non riesco a capire se tutto ciò sia un bene oppure un male.

domenica 18 febbraio 2007

Così



"Non siamo più i ragazzacci ribelli di una volta" mi scrive Alex in messanger. Ed io non posso non fargli notare che la sua è una frase terribilmente ridicola, dato che non ha ancora 24 anni.
Mi risponde con l'immagine di un tizio che si piega in due dalle risate e scrive: "Hai ragione... vabbè, diciamo che abbiamo smesso di giocare a fare i belli e dannati". Mi piacerebbe scrivergli che io non giocavo a fare il ribelle, tantomeno il bello e dannato, ero semplicemente disperato. Ma so che mi scriverebbe prontamente: "Perchè, ora non lo sei?" E allora avrei serie difficoltà a rispondergli.
Finiamo a parlare delle sbronze, delle ragazze, dell'immensa e incredula gioia per il primo pompino ricevuto e non sappiamo bene se all'interno della nostra crescita emotiva queste cose siano state fondamentali o, più semplicemente, siamo solo due coglioni che danno peso alle cose sbagliate.
Così cerchiamo di essere seri ed elenchiamo quelle che potrebbero essere i fondamenti che ci hanno portato ad essere ciò che siamo oggi:

i Cure, i racconti di Bukowski, Dylan Dog, Spiderman, i film di Tim Burton, Orange Road ("Si, E' quasi magia Johnny è la base della nostra educazione sentimentale"), Devilman, Mondo Naif, Santana, i Tre Allegri Ragazzi Morti, John Fante per me e John Cheever per lui, Carlo Marx, la scoperta del socialismo, Pasolini, la scoperta della coscienza sociale, i Nirvana, gli Smashing Pumpkins, le poesie di Prevert e quelle di Dario Bellezza, la scoperta della sessualità ("O, per essere precisi, la scoperta che anche noi eravamo in grado di avere una sessualità"), la teoria "le dark sono tutte puttane, le punk non si lavano, le chiattille la danno sin da piccole ma se non hai soldi devi accontentarti dell'aroma", Buffy l'ammazza vampiri, Dawson's creek ("Umbè, tu pure mò sei peggio di Dawson"), Il mare d'inverno e tutti i pensieri tristi che fa venire in mente, la droga, le arti marziali, il nostro pseudo-buddismo metropolitano, Woody Allen, i sogni di gloria da divi del rock contrapposti al sogno piccolo-borghese di una casa col mutuo, una famiglia e un lavoro decente, Hegel, Nietzsche,
il porno di Joe D'Amato, l'horror di Stephen King di Poe e di Peter Straub, lo splatter, i B-movie, Franco Battiato e Fabrizio De Andrè, la rivalutazione dell'amicizia, dei modelli comportamentali, la convinzione di poter ridurre ad un equazione la vita, lui che demorde e comincia a viverla, mentre io mi ci accanisco più che mai, anche se in matematica non ci ho mai capito un'acca...

Continuiamo a lungo, senza un ordine cronologico, spariamo a raffica, sino a quando lui non scrive: "Chi l'avrebbe detto però che un cattivo ragazzo come te sarebbe diventato così". Con tante faccine sorridenti.
"Così come?" domando.
Mi risponde con una faccia pensierosa e poi scrive solo: "Così".
Io rido e gli dico che era da quando ero un ragazzaccio che cercavo di capire cosa diavolo volesse dire "così".
"Sarò io un coglione che ragiona in modo troppo semplicistico" scrive. "Ma per me così è quello che vedo la mattina quando mi guardo allo specchio".
Resto fermo qualche secondo a pensarci, poi rispondo: "No, sono io che sono troppo complicato e la faccio più lunga del necessario".
Il che è vero, anche se non ci credo sempre.
Parliamo ancora del passato, dei nostri 16 anni, come se non fossimo noi, come se nè quei corpi, nè quelle anime ci siamo mai appartenuti. Sarà uno strambo modo di rivedere il passato con distacco, o il semplice frutto dell'inelettuabilità del cambiamento, la consapevolezza che ciò che siamo stati una volta non è più. Un po' come se fossimo fenici, nate da un passato che ora non è altro che cenere.

giovedì 15 febbraio 2007

Ricordando Groucho Marx



Avrei voluto avere il senso dell'umorismo di quest'uomo




Poiché ero l'unico coi baffi presi per primo la parola.

Non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci uno come me.

Non occorre che tu faccia lo scemo per convincerli che sei scemo... comportati al naturale.

Burbank era il mago che incrociava tutti i suoi frutti e legumi fino al punto che le povere piante si trovavano in un tale stato di ansietà e di angoscia che non sapevano più decidere se dovevano finire in tavola come contorni o come dessert.

Vega domattina alle dieci nel mio ufficio, e se non ci sono chieda di Mr Jaminson, è il mio segretario. Se la riceve lo licenzio.

Non dimentico mai un volto, ma nel suo caso farò un eccezione.

Se squilla il telefono non risponda. Potrebbero avere sbagliato numero.

Fare l'amore con la propria moglie è come andare a caccia di anatre imbalsamate.

Grazie, ho trascorso una serata veramente meravigliosa. Ma non è questa.

Uno sciocco te lo cucini come vuoi, ma una gallina la puoi fare solo bollita.

Come va il suo quoziente di intelligenza? E' sempre basso come quando l'ho conosciuta?

Il pregio della poliandria era quello di far dividere gli alimenti per il divorzio, anziché farli gravare su un uomo solo.

Nonostante le sue ovvie deficienze, posso dire sinceramente che i suoi collaboratori (per non parlare di me) lo amano con il fervore normalmente riservato ad uomini del calibro di Stalin, Hitler e Torquemada.

Persi le staffe. Erano le mie staffe preferite...

Suppongo che i letti ad acqua dovessero essere inventati. Era l'unico modo di bere qualcosa la notte senza calpestare il gatto.

All'infuori del cane, il libro è il migliore amico dell'uomo. Dentro al cane è troppo buio per leggere.

Conosco un tale che ha trovato così tanti uomini nell'armadio che è stato costretto a divorziare solo per appendere i suoi vestiti.

Il matrimonio è la causa principale del divorzio.

Ti aumento la paga solo perchè ti dispiaccia di più quando ti licezio.

- Perchè canti?
- Per ammazzare il tempo.
- Certo che hai un'arma micidiale.

Figliolo va agiocare e comportati come hai fatto nell'ultima partita. Ho scommesso cinque dollari sull'altra squadra.

Quel tipo mi prende sul serio e quindi non mi sembra il caso di chiedergli nulla...


martedì 13 febbraio 2007

Stronze



La teoria di Francesca è chiara e lineare: "Nella vita ad ognuno di noi tocca come minimo stare con tre persone stronze, ma stronze forte". La ascolto al telefono e faccio il conto di quelle che mi sono capitate e mi viene da pensare che devo averlo raggiunto quel numero, ma lei esclama: "No! Tu di stronza ne hai avuta solo una. Le altre due erano troie, nel senso che non solo sono state stronze ma manco te l'hanno data... il che limita i danni. Di stronza ne hai avuta solo una. Io sto a buon punto che me ne sono già beccati due e, dato che spero in una vita molto lunga, il prossimo dovrebbe essere tra un bel po'". C'è da dire che uno dei due stronzi sono io, ma non so se il volerle bene, il fatto che ci sentiamo ancora, mi renda un pizzico migliore.
Attualmente Francesca sta con un tipo di dieci anni più grande e, quando parla di lui, lo chiama Il Coglione. Glielo dice anche in faccia quando lui fa qualche battuta stupida. Ride e poi eslcama: "Sei un coglione!". Allora lui fa una faccia buffa e poi fa cenno di si con la testa, con un sorriso enorme stampato sul volto, come se quello ascoltato fosse il più grande complimento mai ricevuto.

domenica 11 febbraio 2007

Domenica



La domenica mi uccide; specie se il sabato l'ho trascorso a far bollire depressioni varie e disperazioni eventuali. Così per tirarmi su ascolto i Punx crew e poi mi ributto giù con l'ultimo disco di Gruff Rhys, che non è particolarmente maliconico (anzi) ma di domenica basta poco per lasciarsi andare in un torpore in cui non si riesce a studiare, a scrivere, ad alzare il telefono per chiamare qualcuno.
Guardo la mia camera nel caos più totale e penso che dovrei mettere un po' in ordire... e la similitudine tra la mia camera e la mia vita scatta immediata (e forse anche un po' scontata). Direi che devo affrontare i miei fantasmi, se solo non somigliassero più che altro a zombie, per la loro dura consistenza, per il fatto di essere fatti di carne e sangue; ma sono stanco, è una vita che combatto (anche se ormai non saprei più dire chi diavolo è il mio nemico), è da una vita che aspetto qualcosa di non ben definito.
Forse sono solo pippe mentali. Forse è che sono infelice e non riesco più a fingere il contrario.

giovedì 8 febbraio 2007

mercoledì 7 febbraio 2007

Alla manifestazione a Napoli contro il G8



Alla manifestazione a Napoli contro il G8
io sentivo questa specie di emozione,
sentivo questa consapevolezza di essere parte della storia
ed ero felice.
Cantavamo, urlavamo e bestemmiavamo contro
l'America, Berlusconi e i fasciti.
C'era una particolare unione molto forte e una rabbia
ancora più forte; i carabinieri ci guardavano
e noi guardavamo loro
e li insultavamo.
Faceva caldo, ma si stava bene;
una biondina canticchiò Hey Jude dei Beatles
e quando si accorse che quella canzone
non stava suonando solo nella sua testa
arrossì, e si guardò attorno tutta imbarazzata.

Ma c'era qualcosa nell'aria che la rendeva secca
e ci faceva sudare più del dovuto;
non erano le nostre urla, non erano le canzoni,
era qualcosa di diverso,
una specie di presentimento fisico
che quasi voleva avvertirci che di lì a poco
il fiato ci sarebbe mancato del tutto.

Quando la polizia caricò, scappai per la prima volta
da qualcuno che voleva ferirmi;
non avevo mai corso così in vita mia,
non era la velocità ma la paura che muoveva
le mie gambe con un istinto atavico
che mi sorprese, perchè non immaginavo di possederlo.
Non mi voltai indietro, guardai solo davanti
e non mi fermai se non qualche secondo dopo
aver pensato di collassare.

Alla manifestazione a Napoli contro il G8
pensai che in fondo non le conoscevo bene
le ragioni di quel casino, ma ero certo
che fossero giuste.
Aspettai che il cuore diminuisse i suoi battiti
e l'angoscia svanisse.
Telefonai ai compagni e facemmo appuntamento
ad un altra piazza.
Mentre la raggiungevo mi fermai in una libreria
e presi un libro sulla globalizzazione.
Pochi metri prima della piazza, buttai la busta;
l'avevo comprato proprio alla Mondadori.

giovedì 1 febbraio 2007

Aspettative



Crescere in una cittadina come Pomigliano D'arco nel finire degli anni '90 non è stato affatto facile... ma, pensandoci bene, l'adolescenza in sé non è mai facile, e in quel periodo lo era ancora meno.
Il lutto per la morte di Cobain era ampiamente superato, si affacciava alla televisione il mito dei calciatori e delle vallette, delle boy & girl bands, e l'essere famoso diventava sempre più una prerogativa. Ricordo una frase ascoltata da un tipo in quegli anni: "Io voglio diventare famoso, non so come ma voglio, anzi, devo diventare famoso". Il femonemo del grunge, che aveva segnato anche la generazione delle provincia (seppur non affondo), era stata stereotipato e glamizzato. Gesti come l'uccello di fuori di Kurt Cobain ai Music Awards più che una provocazione, poteva essere interpretato come un atto di imposizione di immagine. Non era colpa dei Nirvana ovviamente, ma del contesto televisivo, di MTV e dell'intero buisness dell'apparire che rendeva più di quanto si potesse immaginare.
Eravamo rincoglioniti dal mito televisivo, anche perchè l'emergere lì sembrava l'unico modo possibile per spiccare all'interno di una cittadina dove era assente qualunque mezzo per poter risaltare tra la folla.
Le ragazze (o almeno quelle che volevano darsi un tono meno superficiale) volevano diventare giornaliste, ma non giornaliste di carta stampata, giornaliste televisive; altrimenti nessuno se ne sarebbe accorto che era quello il loro lavoro.
I professori del liceo classico che frequentavo amavano ripetere: "Voi siete la classe dirigente del futuro". E molti ci credevano pure, senza capire se sarebbero stati una vera classe dirigente o la classe dirigente di Pomigliano d'Arco.

Fortunatamente abbandonai quella cittadina a quindici anni. Certo, ci andavo a scuola, ci vivevo, ma i miei amici erano a Napoli, buttati mezzi morti a piazza del Gesù. Loro non volevano andare in televisione, non volevano dirigere neppure il traffico, qualcuno forse voleva sfondare come musicista, sempre se è possibile sfondare nell'ambiente dell'indie-rock. Amavamo dire che non eravamo "nessuno", che eravamo il niente del niente, senza renderci conto che con quelle parole ci stavamo etichettando con appellativi che reputavano di gran lunga superiori agli ambienti da cui prendevamo le distanze.

Prima che si costruisse la villa comunale e che il festival del jazz diventasse importante, Pomigliano d'Arco non offriva davvero nulla. Ma con la villa e ciò che ne conseguì, l'oroglio di appartenere a quel microcosmo ebbe il coraggio di uscire fuori, mostrando che era sempre esistito, solo che non aveva ancora trovato una buona ragione per venire allo scoperto.

Nei primi anni del 2000 le mie compagne di classe scoprirono il concetto del ragazzo-buon-partito, identificandolo con lo studente della scuola militare Nunziatella. Facevano il possibile per essere invitate alle loro feste, facevano il possibile per accalappiarsi il più bello. Appartenere a quella scuola era indice di: 1) potenza economica (una poteza economica che derivava e dalla famiglia di provenienza e dal futuro assicurato del cadetto, che avrebbe occupato un posto di prestigio nella società - quindi, perfetto per avere accanto una futura esponente della classe dirigente del futuro); 2) aspetto fisico perfettamente temprato e irrobustito da allenamenti di stampo militare.
Ovviamente, le famose feste della Nunziatella altro non erano che pretesti per azzerare gli ormoni di un gruppo di ragazzi che non solo strabordavano di testosterone, ma frequentavano anche una scuola esclusivamente maschile.
Non credo che le mie compagne di classe fossero così stupide da non saperlo (ok, alcune avevano la profondità emotivo-intellettuale di un scarpa), penso che preferivano fingere di ignorare questo passaggio. Se non l'avessero fatto avrebbero dovuto rinunciare a quelle feste; che diavolo, erano pur sempre delle brave ragazze!

A guardare il tutto da lontano potrei quasi dire che eravamo animati da una sorta di cannibalismo. Era come se fossimo impegnati in una lotta per la nostra affermazione individuale. Anche io prendevo parte a questo scontro e il mio andare a Napoli altro non voleva significare che: "Io competere con voi? Non fatemi ridere! Io competo con chi è davvero all'altezza". [ Fatto sta che a Pomigliano ero il così detto "soggetto" della scuola, a Napoli uno splendido figurino con un bel po' di amici e un discreto numero di ragazze appresso. ]
Forse - e questa è una teoria azzardata, quasi romanzesca - eravamo così affannati in questo perchè sapevamo che non tutti saremmo appartenuti a questa famosa classe dirigente del futuro, perchè eravamo consapevoli che non ci sarebbe stato posto a sufficienza per ognuno di noi. Volevamo essere i migliori, perchè essere migliori è indice di un'elevata appartenza socio-culturale, e questo fa sentire forti, trasforma in punti di riferimento. Volevamo soldi, una bella casa, un lavoro che ci soddisfasse, un compagno di talamo di tutto rispetto. Era un modo come un altro per apparire, se non nella televisione almeno nella vita reale.