mercoledì 31 gennaio 2007

Lacrime



Quando ho sentito le lacrime volevo trattenerle. Ho pensato: "E' quasi un anno". Neanche fossi stato un alcolista pronto a cedere al richiamo della bottiglia. Il dolore che sentivo era tra la fine dello sterno e l'ombellico. Era strano, non sentivo quel senso di vuoto da così tanto tempo che me ne sono sorpreso; non ricordavo fosse così pesante. Ho preso a pugni il muro e non mi sono fatto niente. Il dolore è subentrato solo dopo mezz'ora. Il mio corpo era troppo impegnato a percepire il buco nero allo stomaco che aspirava e comprimeva tutto. Ho urlato, ma l'ho fatto mentalmente: un urlo che è partito dal cervelletto e che si è espanso per l'intera scatola cranica, quasi facendo eco. Ne ho provato piacere, così l'ho rifatto. Urlare sul serio, semmai con la testa affondata nel cuscino, poteva svegliare i miei che dormivano nella stanza accanto. Mi sono coperto completamente e poi ho pianto.

In mattinata mi sono ricordato di una frase sentita qualche anno fa: "Le uniche emozioni vere sono quelle che si provano leggendo un libro, guardando un film o ascoltando una canzone". Mi ci sono riconosciuto. Ma in realtà non sono le uniche emozioni vere, sono le uniche che non fanno male, ma ci consolano anche quando sembrano cattive, anche quando comunicano la perdita o il dolore. E se ci commuovono, le lacrime che fuoriescono sono lacrime per qualcosa che potrebbe accaderci, che ci è accaduto, qualcosa che riconosciamo ma non ci riguarda da vicino.
Le emozioni vere, invece, fanno male. A volte sembrano così più grandi di te da stare lì lì per farti esplodere il corpo; sono così impalpabili che nessun altro le può capire; prendono posto tra le ghiandole e gli intestini, li addolcisono come fossero morfina e poi li distruggono, lasciando in balaria di urla che possono essere urlate solo nella testa e di lacrime così stupide e banali che quasi ci si vergogna a raccontare.

venerdì 26 gennaio 2007

Cultura Vs Darwinismo



La conoscenza e la cultura altro non sono che i due strumenti che l'uomo utilizza per sentirsi al di sopra degli altri animali; per illudersi di non essere sottomesso alle leggi naturali che governano gli istinti. Ma se fa bene attenzione, può rendersi conto che in primavera va in calore come succede anche ai cani e che marca il territorio, se non con l'urina, con tracce più sottili (ma ugualmente forti) della sua presenza.

L'ideologia della cultura, ben impressa all'interno degli schemi razionali ed intellettuali degli individui, indica come proprio compagno e compagna di talamo una persona che colmi i suoi bisogni che sono, prima di tutto, bisogni emotivi e intellettuali. E' questo quello che ci ha ha insegnato la strada della conoscenza percorsa in tanti anni: l'uomo può elevarsi, porsi a vivere un vita più densa nel momento in cui cura la sua mente, il suo spirito, non concentrandosi unicamente sul lato istintivo del suo essere, ma trattandolo come semplice componente tra gli altri.

Questi valori (sottoscritti dai membri del ceto intellettualmente medio-alto) vengono totalmente distrutti dagli impulsi istintivi che - senza troppa fatica - hanno la meglio su queste costruzioni sillogistiche. Perchè in un conflitto tra bisogni razionali e bisogni istintivi saranno i secondi a prevalere. Questo perchè l'istinto è un fattore aprioristico ed esiste con l'esistenza stessa dell'uomo, la razionalità (che in questa sede identifichiamo con l'ideologia della cultura) invece si è costruita, è il frutto dell'elaborazione della conoscenza inserita nella memoria.
Certo, empiricamente la teoria non è così netta, ma viene pragmatizzata dalla mediazioni tra questi due estremi. Insomma, l'attrazione diventa il frutto di una sintesi di bisogni istintivi e bisogni razionali; ma, proprio per la forza di gran lunga superiore dell'istinto, questi prevarrano rispetto ai secondi.

Così una donna orienta la sua attenzione verso il maschio più prestante o rassicurante, che ridesta in lei l'idea della maternità (questa idea, ovviamente, non verte necessariamente su un ambito fisico, ma può cadere anche su fattori sociali, come quello economico). Mentre l'uomo si orienta verso la femmina più attrante, che incarna quella che è la sua idea di potere.

La questione, però, non ha una natura prettamente fisica, non a caso ho fatto riferimento ad idea di maternità e ad idea di potere. Queste due idee (che sono anche l'aspetto di due bisogni) sono insite nell'essere umano, ma vengono definite (specificizzate) dal modo in cui l'uomo ha elaborato se stesso nel corso degli anni; ovvero, dalla personalità individuale. Le esperienze (empiriche e culturali) definisco questa idea, di modo che abbia una rappresentazione diversa da persona a persona.
In breve, ognuno definisce la propria idea di potere e di maternità a modo proprio, ma tutti si orientano verso di esse.

L'ideologia della cultura, allora, diventa un elemento attraverso il quale l'istinto muove l'uomo. E, per quanto le proprie scelte attuate su di un piano ipotetico saranno indirizzate verso una tipologia di individui, nel piano concreto invece differiranno e saranno indirizzate verso altri, che rispecchiano di gran lunga i biosgni istintivi.

Non a caso è possibile riscontrare l'esistenza di due forme di attrazione: razionale e istintiva. Solitamente gli individui sono più propensi a seguire quella istintiva (apparentemente immotiva o razionalmente immotiva); l'assecondare quella razionale si fa largo solo verso l'età matura, con l'incedere degli anni, quando si fa largo l'idea della precarietà fisica.

Insomma, gli uomini non sono poi tanto diversi dalle bestie. Hanno la cultura è vero, ma questa è solo una variabile che, inserita nel contesto istintivo, ne fa differire i comportamenti, pur lasciando intatta la struttura di base comune all'intero regno animale.

giovedì 25 gennaio 2007

Non vorrei crepare



Non vorrei crepare

prima di aver conosciuto
i cani neri del messico
che dormono senza sognare.
Le scimmie dal culo pelato
divoratrici di fiori tropicali
I ragni d'argento
dal nido pieno di bolle
Non vorei crepare
senza sapere se la luna
dietro la faccia di vecchia moneta
abbia una parte puntuta
se il sole sia freddo
se le quattro stagioni
siano poi veramente quattro
senza aver tentato
di sfoggiare un vestito
lungo i grandi viali alberati
senza aver contemplato
la bocca delle fogne
senza aver ficcato il cazzo
in certi angoli bizzarri
Non vorrei crepare
senza conoscere la lebbra
o le sette malattie
che si prendono laggiù
il buono e il cattivo
non mi tormenterebbero
se sapessi
che ci sarà una prima volta
e troverò pure
tutto ciò che conosco
tutto ciò che apprezzo
e sono sicuro mi piace
il fondo verde del mare
dove ballano i filamenti delle alghe
sulla sabbia ondulata
la terra bruciata di giugno
la terra che si screpola
ed i baci di colei
che mi fa stravedere
la bella per essenza
il mio orsachiotto,l'orsola
Non vorrei crepare
prima di aver consumato
la sua bocca con la mia bocca
il suo corpo con le mie mani
il resto con i miei occhi
non dico altro bisogna
restare umili
Non vorrei crepare
prima che abbiano inventato
le rose eterne
la giornata di due ore
il mare in montagna
la montagna al mare
la fine del dolore
i giornali a colori
la felicità dei ragazzi
e tante cose ancora
che dormono nei crani
degli ingegneri geniali
dei giardinieri allegri
di socievoli socialisti
di urbani urbanisti
e di pensierosi pensatori
tante cose da vedere
da vedere e da sentire
tanto tempo da aspettare
da cercare nel nero

e io vedo la fine
che brulica e che arriva
con la sua gola schifosa
e che m'apre le braccia
da rana storpia
Non vorrei crepare
nossignore nossignora
prima di aver assaporato
il piacere che tormenta
il gusto più intenso
Non vorrei crepare
prima di aver gustato
il sapore della morte...

Boris Vian

lunedì 22 gennaio 2007

Immagine



Ogni volta che mi vedi

perdi qualcosa;

potresti trasformarti

in un riflesso

ed essere solo ciò

che qualcun’altro è.


Nelle stanze un respiro

contorce la pelle;

queste immagini

che non fanno rumore

troppo spesso

fermano il tempo.

sabato 20 gennaio 2007

Marchetta


E' uscito il settimo numero di Miniver.
Oltre all'edizione on-line, che è possibile scaricare in formato Pdf, in giro per Napoli (se vi applicate) potrete reperire anche la richiestissima versione cartacea, grazie alla quale potrete toccare con mano che un briciolo di informazione indipendente esiste ancora.



giovedì 18 gennaio 2007

Certi ragazzi a gennaio



Nessun senso di colpa, non è importante per me
tu non stare in pensiero è solo un finto cuore
Gennaio, Federico Fiumani



Certi ragazzi a gennaio si sentono inquieti e non hanno voglia di studiare. Gli esami sono vicini e loro provano a sfogliare le pagine, a sottolineare e a ripetere, ma tutte quelle parole sembrano volare lontano; forse proprio lì dove vorrebbero volare loro.
C'è chi del sogno americano se ne frega, ma vorrebbe scappare a New York, alla ricerca di un amore Erasmus durato il tempo necessario per essere definito tale, e vissuto con un intensità così forte da provare un po' di rabbia quando qualcuno glielo ricorda.
C'è a chi basta una persona qualsiasi, un abbraccio, un sorriso, un corpo e un letto per risvegliarsi da questo torpore invernale, che ha lo stesso odore di una primavera rinsecchita.
C'è chi della propria donna non sa che farsene, ma è sesso sicuro (anche perchè con lei è sicuro di fare sesso) e la tiene lì, in attesa che arrivini un'altra che possa diventare qualcosa di più.

Certi ragazzi a gennaio si sentono giù ma non conosco bene il motivo, guardono la televisione, fanno un salto all'Università, leggono Saramago o Nick Hornby, escono con gli amici senza divertirsi più di tanto; come se si aspettassero qualcosa che non è accaduto. Anche se non sanno proprio dire cos'è quel qualcosa.
Questi ragazzi chattano in msn per sentirsi meno soli e poi inveiscono contro quella dannata chat che fa solo perdere tempo, perchè gli esami sono vicini e loro non sono neppure arrivati a metà libro. Ma a mezzanotte li trovi lì, ancora connessi, giusto per scrivere quelle ultime frasi, che sono sia una buonanotte per gli altri nottambuli, sia una specie di valeriana che rende le loro palpebre pesanti e li prepara al sonno.

Ci sono dei ragazzi a gennaio che hanno quasi voglia di piangere, ma poi si rendono conto che non hanno motivo, così ricacciano le lacrime negli occhi, tirano su col naso e mettono nello stereo un cd che li può tiarare su. Ma quella musica non li soddisfa a lungo, così cambiano, mettono qualcosa di triste e in quella melodia malinconica riescono a riconoscersi. Allora hanno l'impressione di avere un motivo per piangere, ma le lacrime ormai non riescono a risalire, così spengono tutto, indossano scarpe e cappotto e si sbattono la porta di casa alle spalle per andare chissà dove.
Ci sono certi ragazzi a gennaio che si sentono giù e non sanno il motivo. Sarà per questo che sorridono come dei Pierrot senza maschera, sentendosi un po' stupidi e un po' confusi.

martedì 16 gennaio 2007

Salvador Dalì



Salvador Dalì non ha mai pregato una donna
di andare a letto con lui
Saranno stati i baffi
o lo sguardo folle e spiritato
ma nessuna gli resisteva
Di certo non era bello
ma fascinoso lo era di sicuro
charmeggiante
il che era un riflesso della sua genialità credo
O della follia
Ecco mi viene da pensare agli artistoidi di oggi
che sulle macchine guardano
le donne che camminano per il corso
come fanno i tamarri
ma non hanno il coraggio per fermarle
Scrivono dipingono cantano
ma è tutto troppo lamentoso
continui pianti di solitudine e disperazione
sulla loro vita ingiusta e il destino
crudele come le donne che li rifiutano
Certo qualcuna ogni tanto ci casca
cede si lascia andare e se li porta a letto
Ma a Dalì bastava uno sguardo
mentre a loro non basta la vita intera
Orgasmi modesti sigillati nelle proprie manie
cd sparsi sul pavimento
come abiti lasciati lì a creare caos
Le donne al loro fianco pensano al domani
e sanno che non sarà con loro
Anche con Dalì le donne sapevano che il domani
non sarebbe stato con lui
ma preferivano non pensarci

domenica 14 gennaio 2007

Liberismo economico & liberismo sessuale



[...] nella nostra società il sesso rappresenta un secondo sistema di differenzazione, del tutto indipendente dal denaro; e si comporta come un sistema di differenziazione altrettanto spietato, se non di più. Tuttavia gli effetti di questi due sistemi sono strettamente equivalenti. Come il liberismo economico incontrollato, e per ragioni analoghe, così il liberismo sessuale produce fenomeni di depauperamento assoluto. Taluni fanno l'amore ogni giono; altri lo fanno cinque o sei volte in tutta la vita, oppure mai. Taluni fanno l'amore con decine di donne; altri con nessuna. E' ciò che viene chiamata "legge del mercato". In un sistema economico dove il liceziamento sia proibito, tutti riescono più o meno a trovare un posto. In un sistema sessuale dove l'adulterio sia proibito, tutti riescono più o meno a trovare il proprio compagno di talamo. In situazione economica perfettamente liberale, c'è chi accumula fortune considerevoli, altri marciscono nella disoccupazione e nella miseria. In situazione sessuale perfettamente liberale, c'è chi ha una vita erotica varia ed eccitante; altri sono ridotti alla masturbazione e alla solitudine. Il liberismo economico è l'estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. Altrettanto, il liberismo sessuale è l'estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età e a tutte le classi della società.

Michel Houellebecq, Estensione del dominio della lotta

venerdì 12 gennaio 2007

Parlando di revisionismo



Se penso al revisionismo storico non posso fare a meno di pensare a zio Tonino (lo zio della mia amica Carmen), che durante la cena del 31 dicembre si fa in quattro per scovare il mini-busto di Mussolini (debitamente nascosto dalla moglie) e, una volta trovato, lo mostra a tutti gli ospiti e ne bacia la marmorea pelata. Non contento, zio Tonino si rivolge alla mia amica Debborah (rea di averlo salutato circa quattro anni fa col pugno chiuso) dicendo: "Tu puoi essere laureata quanto vuoi tu, ma se mi dici che sei comunista vuol dire che sì scem'!" Debborah cerca di fargli capire che lei non è propriamente comunista, ma non serve, le parole di zio Tonino sono una valanga e attirano l'attenzione dei presenti molto più di quelle del presidente della repubblica e del suo tradizionale discorso di fine anno. "Perchè a scuola mica te la dicono la verità" esclama con gli occhi che brillano dall'esaltazione. Poi prende il libro di Pansa e dice: "Lui invece dice la verità, ti dice tutte le schifezze che i comunisti hanno fatto e che Togliatti era un corrotto". Poi ricorda la sua infanzia e con una certa commozione ci racconta di quando i parenti dicevano di lui che era "un bambino con la stessa capa tosta di Mussolini".
Ecco, io quando penso al revisionismo storico penso a questo. E, malgrado quella sera ridevamo, ascoltando le parole di zio Tonino senza dargli troppa importanza, ora se ci ripenso e ci faccio attenzione, mi rendo conto che la cosa è molto più inquietante di quel che può sembrare.

martedì 9 gennaio 2007

Pa-pa-pa-pa-partigiano reggiano



N
el solito zapping della domenica pomeriggio, mi ritrovo a premere il pulsante 5 del telecomando. Nella mia stanzetta avvolta dal buio, l'unica luce presente è quella della televisione che strasmette la faccia incazzata di Vittorio Scarbi. Dinanzi a lui un interte Marco Pannella che, reggendosi la fronte rugosa con la mano, cerca di parlare; invano. Me la sghignazzo (perchè - non posso farci niente - a vedere queste cose mi vien da ridere) e faccio per cambiare, ma le parole che pronuncia il fantomatico critico mi fanno raggelare.
"I partigiani altro non erano che persone che si sono macchiati di omici efferati, quando ormai il fascimo era morto e gli americani erano giunti". Poi cita la morte di Mussolini (perchè particolari come quelli sono sempre molto coreografici) facendo esplodere il pubblico dello studio in un applauso degno di una canzone di Gigi D'Alessio.
Il mio corpo si contrae, poi si immobilizza, in brevissimo perdo la facolta di parlare, sentire e pensare. La diagnosi non può essere che: overdose di puttanate!
Riprendo i miei libri di storia (che di certo Pansa non approverebbe) e spulcio tra i ricordi di famiglia.
Nel ventennio quasi tutti erano tesserati al partito fascista e chi non lo era andava incontro a pesanti sanzioni. Il mio bis-nonno era uno di questi. All'epoca aveva un negozio, il risultato del suo mancato tesseramento fu la chiusura repentina. C'è però da dire che pochi erano i tipi come il mio bis-nonno, la maggior parte preferivano darsi un pizzico sulla pancia, tesserarsi, sventolare la bandiera al passaggio del dux sua lux e alzarsi il capello quando ci si incrociava con questo o quel gerarca. Lo si faceva per quieto vivere.
In più c'era un'altra porzione di gente, i monarchici, schierati col partito fascista durante le elezioni. Proprio la mia bis-nonna era una di loro. Tanto che quando li votò, il mio bis-nonno urlò come un pazzo: "Ma hai capito? Hai votato a Mussolini!" Lei senza scomporsi rispose: "Uè a me non mi importa, io faccio quello che fà o rrè!" Piccola scenetta familiare che semplifica al meglio la situazione.
Quando ebbe inizio la rivoluzione partigiana furono fatti fuori tre gategorie di persone: i nazisti ancora presenti sul territorio nazionale, i repubblichini e i fascisti che avevano spiccato nelle varie realtà cittadine. Ovviamente ciò che si stava verificando non era una guerra pianificata, ma una vera e propria rivoluzione, il cui scopo era solo uno: liberarsi dagli oppressori.
Ma la guerra è guerra per tutti, e la violenza resta tale anche quando stringe nel pugno la bandiera della libertà. I partigiani furono corte, giuria e boia; ripagarono con la stessa moneta (ma con una valuta ben inferiore) quelli che sino a quel momento erano stati i carnefici.
Sintetizzare il tutto con la sola violenza mi pare riduttivo, anche perchè lo stato Italiano è uno stato nato sul sacrificio dei partigiani e si basa sull'antifascismo (cosa ormai dimenticata e che resta scritta nei codici tanto per fare volume, come l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro - sarebbe molto più corretto scrivere l'Italia è un'autarchia fondata sul precariato).

Mi ha sorpreso vedere una cosa del genere, in fondo Scarbi è quello delle fantastiche scenette con la Mussolini, in cui la indica e ripete a loop: "Fascista! fascista! fascista! e puttana!" Dove sia finito il suo antifascimo non lo so dire, forse ha preso la stessa strada che un giorno ha preso anche la coscienza di Giuliano Ferrara (una strada lontana anni luce dai dietologhi), o forse l'avra lasciata a contemplare un un dipinto di Munch. Chi lo sa, forse è stata rapita quando hanno rubato L'urlo, i ladri si sono accorti che aveva visto tutto e hanno preso pure lei. In questo caso allora non c'è niente da fare: quei poveretti saranno già stati sbranati da un pezzo.

lunedì 8 gennaio 2007

Non è successo niente






Ti ricordi quando ha nevicato a marzo?
Noi due abbracciati dietro al vetro,
la meraviglia davanti e quasi niente dietro.
E l'assente ticchettìo degli orologi al quarzo...


Mi imbattei in questo libro quasi per caso, senza volerlo. Avevo sedici anni, mi piaceva da morire l'horror e Tiziano Sclavi per me altro non era che "quello" di Dylan Dog. Avevo già comprato due suoi libri, Della Morte Dell'Amore (destinato a lasciarmi un segno indelebile) e Sogni di sangue, tre racconti gialli molto inquietanti. Così quando comprai Non è successo niente mi aspettavo di trovare qualcosa del genere. Mi sbagliavo alla grande.
Come ho detto, allora ero fissato per l'horror e per tutte le sue derivazioni più estreme: splatter, splatterpunk, cannibalismo, contosionismo etc. e, di conseguenza, scrivevo racconti di questo genere. Addirittura il mio sogno di gloria era quello di scrivere un romanzo horror così bello da farmi definire dalla critica lo Stephen King italiano; per essere precisi, la mia perversione più nascosta era essere soprannominato Stefano Re (ma a riguardo stendiamo un velo pietoso).
Quando aprii il libro ero in camera mia, pioveva e mia madre guardava a tutto volume Passaparola. Le prime pagine raccontavano il seguito di Della Morte Dell'Amore, il che mi rese felice come non mai. Poi però il capitolo finì e mi resi conto che il vero protagonista del libro non era Francesco Della Morte, ma un certo Cohan, che stava leggendo il manoscritto che un suo amico (tale Tiz) gli aveva dato prima di mandare alle stampe. Da qui mi si pararono davanti dei personaggi che non avrei ma più dimenticato.
Cohan, uno scrittore depresso che non riesce a trovare l'ispirazione per il suo libro. Lucy, una ragazza anoressica, che non sa arrabbiarsi. Tommaso, che è uno sceneggiatore di fumetti alcolizzato. Mauro, un tizio con un aspetto grosso e cattivo, ma buono come il pane e che fa il correttore di bozze e l'umorista. Vita, incasinatissima e con tre uomini di cui non sa scegliere quello definitivo.
Le vite di questi personaggi erano drammatiche e comiche allo stesso tempo. Cohan si incazzava col postino e a Tommaso veniva quasi da piangere perchè non avrebbe rivisto una ragazza incontrata di sfuggita, e poi c'era una domestica impicciona, una gatta di nome Ugo, citazioni di Alf l'alieno, della pubblicità dei rocher, confessioni di comunisti che avevano combattuto il '68 e che si ritrovavano ricchi come i nemici borghesi, ma senza il coraggio di far sfruttare a pieno la loro ricchezza, ma lasciandola in banca, pronta per qualsiasi uso (siamo dei poveri ricchi con la data di scadenza come simmethal o, peggio ancora, come la mozzarella).
Questo romanzo fu un illuminazione. Mi insegnò che c'erano altri mondi da raccontare (e altri modi per raccontarli); mondi in apparenza banali, ma in fondo complessi, multistratificati. Era come se ogni pagina urlasse: la vita è fatta di lacrime di dolore e di gioia, che spesso si alternano ad una velocità tale da sembrare irreale.
Lessi le prime 350 pagine in due giorni, ridendo, commuovendomi, arrabbiandomi e riconoscendomi. Fino a quel momento non avevo mai letto un libro in grado di provocarmi tante sensazioni diverse insieme. Per le ultime 50 pagine, invece, impiegai una settimana. Mi ero affezionato così tanto a quei personaggi che non volevo lasciarli. Per questo, ancora oggi, ogni tanto mi capita di sfogliare questo libro, di prendere un pezzo a caso, per far visita a questo gruppo di nevrotici, così assurdi da sembrare reali.
Quando lessi anche l'ultima pagina piansi. Proprio in quel momento entrò in camera mia madre. "Che è, hai l'allergia" mi domandò. Le dissi di no ed indicai il libro. Sorrise: "Perchè, è commuovente? Come va a finire?"
Mi limitai ad alzare le spalle, per dire con un tono forse troppo grave: "Alla fine se ne vanno via".

venerdì 5 gennaio 2007

Una piccola fuga



Qualche volta, quando di notte guido in autostrada, mi capita di chiudere gli occhi. Lo faccio per non più di un paio di secondi, quando la strada è dritta e non c'è nessun'altra auto davanti a me. C'è una strana serenità in quei momenti. La strada deserta, la notte che da lì a pochissime ore sarà tornata giorno, la cassetta che suona musica graffiata dalle casse che hanno vissuto giorni migliori.

In quegli attimi, quando tengo le palpebre abbassate, c'è uno strano senso di abbandono: non c'è amore, nè paura, nè preoccupazioni, non c'è domani e neppure un frammento di passato, esiste sono quel presente. Un presente in cui io chiudo gli occhi, ho le mani sul volante che vibra, il muscolo della gamba destra contratto per bilanciare l'acceleratore e quello della sinistra rilassato, col piede abbandonato sulla frizione. Niente più.
In quel brevissimo lasso di tempo sono pienamente consapevole di me stesso, so ciò che sono, cosa sto facendo e ho la mente completamente sgombra di pensieri, così che posso dedicarmi ad enspirare l'aria, ad inspirarla, ad enspirare ed inspirare un'altra volta, lentamente. Per poi riaprire gli occhi e lasciarmi avvolgere di nuovo dal resto del mondo.

giovedì 4 gennaio 2007

Un pezzo di te


Ti chiamo per dirti che nel mio letto c'è ancora un pezzo di te,
mi domandi quale pezzo e faccio fatica a risponderti.
Alex è partito.
Mi chiedi di inviarti quel pezzo per posta o di tenerlo o di buttarlo
che tanto è lo stesso.
Vorrei dirti che mi sento solo ma cade la linea.
Il treno di Alex corre verso il suo chissà dove.
Al centro della stazione, vorrei richiamarti ma non lo faccio.
Metto il cellulare in tasca, respiro l'odore degli altri
e mi dirigo verso il mio chissà quando.