giovedì 1 febbraio 2007

Aspettative



Crescere in una cittadina come Pomigliano D'arco nel finire degli anni '90 non è stato affatto facile... ma, pensandoci bene, l'adolescenza in sé non è mai facile, e in quel periodo lo era ancora meno.
Il lutto per la morte di Cobain era ampiamente superato, si affacciava alla televisione il mito dei calciatori e delle vallette, delle boy & girl bands, e l'essere famoso diventava sempre più una prerogativa. Ricordo una frase ascoltata da un tipo in quegli anni: "Io voglio diventare famoso, non so come ma voglio, anzi, devo diventare famoso". Il femonemo del grunge, che aveva segnato anche la generazione delle provincia (seppur non affondo), era stata stereotipato e glamizzato. Gesti come l'uccello di fuori di Kurt Cobain ai Music Awards più che una provocazione, poteva essere interpretato come un atto di imposizione di immagine. Non era colpa dei Nirvana ovviamente, ma del contesto televisivo, di MTV e dell'intero buisness dell'apparire che rendeva più di quanto si potesse immaginare.
Eravamo rincoglioniti dal mito televisivo, anche perchè l'emergere lì sembrava l'unico modo possibile per spiccare all'interno di una cittadina dove era assente qualunque mezzo per poter risaltare tra la folla.
Le ragazze (o almeno quelle che volevano darsi un tono meno superficiale) volevano diventare giornaliste, ma non giornaliste di carta stampata, giornaliste televisive; altrimenti nessuno se ne sarebbe accorto che era quello il loro lavoro.
I professori del liceo classico che frequentavo amavano ripetere: "Voi siete la classe dirigente del futuro". E molti ci credevano pure, senza capire se sarebbero stati una vera classe dirigente o la classe dirigente di Pomigliano d'Arco.

Fortunatamente abbandonai quella cittadina a quindici anni. Certo, ci andavo a scuola, ci vivevo, ma i miei amici erano a Napoli, buttati mezzi morti a piazza del Gesù. Loro non volevano andare in televisione, non volevano dirigere neppure il traffico, qualcuno forse voleva sfondare come musicista, sempre se è possibile sfondare nell'ambiente dell'indie-rock. Amavamo dire che non eravamo "nessuno", che eravamo il niente del niente, senza renderci conto che con quelle parole ci stavamo etichettando con appellativi che reputavano di gran lunga superiori agli ambienti da cui prendevamo le distanze.

Prima che si costruisse la villa comunale e che il festival del jazz diventasse importante, Pomigliano d'Arco non offriva davvero nulla. Ma con la villa e ciò che ne conseguì, l'oroglio di appartenere a quel microcosmo ebbe il coraggio di uscire fuori, mostrando che era sempre esistito, solo che non aveva ancora trovato una buona ragione per venire allo scoperto.

Nei primi anni del 2000 le mie compagne di classe scoprirono il concetto del ragazzo-buon-partito, identificandolo con lo studente della scuola militare Nunziatella. Facevano il possibile per essere invitate alle loro feste, facevano il possibile per accalappiarsi il più bello. Appartenere a quella scuola era indice di: 1) potenza economica (una poteza economica che derivava e dalla famiglia di provenienza e dal futuro assicurato del cadetto, che avrebbe occupato un posto di prestigio nella società - quindi, perfetto per avere accanto una futura esponente della classe dirigente del futuro); 2) aspetto fisico perfettamente temprato e irrobustito da allenamenti di stampo militare.
Ovviamente, le famose feste della Nunziatella altro non erano che pretesti per azzerare gli ormoni di un gruppo di ragazzi che non solo strabordavano di testosterone, ma frequentavano anche una scuola esclusivamente maschile.
Non credo che le mie compagne di classe fossero così stupide da non saperlo (ok, alcune avevano la profondità emotivo-intellettuale di un scarpa), penso che preferivano fingere di ignorare questo passaggio. Se non l'avessero fatto avrebbero dovuto rinunciare a quelle feste; che diavolo, erano pur sempre delle brave ragazze!

A guardare il tutto da lontano potrei quasi dire che eravamo animati da una sorta di cannibalismo. Era come se fossimo impegnati in una lotta per la nostra affermazione individuale. Anche io prendevo parte a questo scontro e il mio andare a Napoli altro non voleva significare che: "Io competere con voi? Non fatemi ridere! Io competo con chi è davvero all'altezza". [ Fatto sta che a Pomigliano ero il così detto "soggetto" della scuola, a Napoli uno splendido figurino con un bel po' di amici e un discreto numero di ragazze appresso. ]
Forse - e questa è una teoria azzardata, quasi romanzesca - eravamo così affannati in questo perchè sapevamo che non tutti saremmo appartenuti a questa famosa classe dirigente del futuro, perchè eravamo consapevoli che non ci sarebbe stato posto a sufficienza per ognuno di noi. Volevamo essere i migliori, perchè essere migliori è indice di un'elevata appartenza socio-culturale, e questo fa sentire forti, trasforma in punti di riferimento. Volevamo soldi, una bella casa, un lavoro che ci soddisfasse, un compagno di talamo di tutto rispetto. Era un modo come un altro per apparire, se non nella televisione almeno nella vita reale.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

bestia, stasera suoniamo al mamamù! vieni!

Alinola ha detto...

pensa solo che apochi chilometri da casa tua manco mtv si prendeva!e meno male che mò c'è il digitale terrestre!

Anonimo ha detto...

L'appartenenza... inganna!

Anonimo ha detto...

L'appartenenza... inganna!

Nirvana ha detto...

Mm, non so, tutto quello che hai raccontato è profondamente distante da cosa ho vissuto io nella mia adolescenza e anche da quello che percepivo intorno, nel sociale. Ora riesco a sentirmi molto provinciale ma è una questione legata solamente a ciò che di poco offre la mia città , in termini di occasioni, opportunità per imparare, formarsi e divertirsi. Ma riesco ancora ad apprezzare certi riti, le tradizioni e una antropologia caratteristica, propria ed esclusiva di questa città.
La realtà femminile da te descritta è sempre esistita ed esisterà sempre, in modo trasversale, in tutti gli strati sociali.
Le mie scuole medie erano frequentate solo da gente Nunziatella-style, al maschile e al femminile, ma era una realtà che si è intrecciata con la mia vita in modo passivo; mi è scivolata addosso e non penso abbia avuto importanti risvolti sulla mia formazione.
Il grunge, i Nirvana e tutto il resto, li ho sempre vissuti come un fenomeno intimo. Mi interessava la loro musica, non il fenomeno sociale che hanno generato, per quanto io mi inserissi, a suo tempo, in questo fenomeno. Il grunge per me è stato: io, il mio stereo, un buon cd, conseguenti riflessioni. Non è stato un mezzo di socializzazione, un elemento aggregante per cercare gente a me simile. Le parate di piazza in flanella e quadrettoni, indossati da gloriose teste di cazzo che avevano il mito di Cobain, le ho sempre osservate con scetticismo e distacco. - Nirvana [tempi-moderni.blogspot.com]

Umberto De Marco ha detto...

Ovviamente anche per me il grunge era quello da te descritto. Ma un avvenimento viene vissuto in modo completamente diverso a seconda del momento in cui viene vissuto. E il passato ha la convenienza di mostrare il fianco per riflessioni e critiche. Oltretutto - data la deformazione professionale - è più che ovvio guardare con maggiore attenzione e spostare lo sguardo dal proprio mondo intimo a quello circostante, almeno per capire ciò che accadeva mentre si era concetrati su se stessi; o, quantomeno, per illudersi di capire.

Umberto

Anonimo ha detto...

e com'è finita poi?
;*

Anonimo ha detto...

Infatti dillo Mirta...

noi al liceo eravamo piu' intellettuali spocchiosi di adesso...

Ifona